Non c’è super-Ace senza Ace. Non è un giro di parole, ma la conclusione alla quale bisogna pervenire per dare un senso ad un’agevolazione abrogata e poi riesumata impropriamente, prima dall’articolo 1 comma 287 del Legge n. 160 del 2019 poi, in versione maggiorata, ma solo per l’esercizio finanziario 2020, dall’articolo 19 comma del DL n. 73 del 2021. Il decreto Sostegni-bis, infatti, ha elevato la percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del capitale proprio al 15% per la variazione in aumento del periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020.
Quello che verrà qui di seguito descritto è lo strano caso della disposizione tributaria eliminata dall’ordinamento giuridico, ma poi tempestivamente reintrodotta, in un giro articolato di disposizioni abrogative che fanno perdere la bussola. Come anticipato l’articolo 1 del DL n. 201 del 2011, dopo essere stato abrogato dall’articolo 1 comma 1080 della L. n. 145 del 2018, è entrato nuovamente in vigore con l’articolo 1 comma 287 della Legge n. 160 del 2019 che, a sua volta, ha disposto l’abrogazione dell’articolo comma 1080 della L. n. 145. In particolare il predetto articolo 1 comma 287 della Legge n. 160 del 2019 ha previsto come a decorrere dal periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2018 si applichino le disposizioni di cui al predetto articolo 1 del DL n. 201 del 2011 in materia di Aiuto alla Crescita Economica, prima abrogate, poi reintrodotte, con un’aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio fissata al 1,3%.
Sul solco della sua reintroduzione, il DL Sostegni-bis si limita a modificare l’articolo 1 comma 287 della Legge n. 160 del 2020, prevedendo la maggiorazione transitoria al 15% dell’aliquota percentuale prevista per l’Ace post 2019. La maggiorazione, tuttavia, non cambia le regole del gioco, ma solo il quantum. Come previsto dal suo impianto normativo originario l’agevolazione consiste in una deduzione dal reddito complessivo netto dichiarato dalle società e dagli enti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, pari all’importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. Nello specifico, secondo le disposizioni del Decreto del Ministro dell’economia e finanza del 03/08/2017 avente ad oggetto la revisione delle disposizioni attuative in materia di aiuto alla crescita economica (ACE), il rendimento nozionale del nuovo capitale proprio è valutato mediante l’applicazione dell’aliquota percentuale prevista per l’annualità oggetto di incentivo alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. Rilevano come variazioni in aumento i conferimenti in denaro, nonché gli utili accantonati a riserva ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili. Sono, invece, variazioni in diminuzione quelle relative alle riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti, gli acquisti di partecipazioni in società controllate e gli acquisti di aziende o di rami di aziende.
A seguito dell’entrata in vigore del DL Sostegni-bis la norma, che si applica anche al reddito d’impresa di persone fisiche, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria, si impone nel panorama delle agevolazioni tributarie con alcune criticità. Mentre per le persone fisiche e le società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria non sembrano rilevarsi problemi applicati, la stessa cosa non può dirsi per le società di capitali.
Per i primi, infatti, la variazione in aumento di capitale proprio effettuata negli esercizi di applicazione del regime di contabilità ordinaria rilevante ai fini del beneficio è costituita dalla somma algebrica, sempre se positiva, tra la differenza positiva tra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010 e gli elementi positivi e negativi di cui all’art. 5 del Decreto 03/08/2017. In questo caso la variazione del 2021, quale variazione positiva successiva al 2015, potrà integralmente godere della maggiorazione prevista per la singola annualità, indipendentemente dalla variazione negativa dei singoli periodi d’imposta precedenti.
Al contrario, per i soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi gli eventuali elementi negativi, ovvero le riduzioni del patrimonio netto che dovessero verificarsi nell’intervallo intercorrente fra il 31 dicembre 2010 ed il 31 dicembre 2020, potrebbero vanificare ogni sforzo. Per questi soggetti, infatti, la variazione in aumento del capitale proprio rilevante ai fini dell’agevolazione, da determinarsi rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010, è costituita, semplicemente, dalla somma algebrica, se positiva, degli gli elementi indicati all’articolo 5 commi 2 e 3 del predetto decreto ministeriale, senza alcun confronto quinquennale.
Orbene, dalla lettura della norma non si comprende, ad esempio, se il conferimento in denaro effettuato nel 2021 a copertura di perdite di pari importo subite nel 2020 sia sempre rilevante ai fini della maggiorazione. Per le persone fisiche, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria la risposta è sicuramente affermativa perché tutte le variazioni del patrimonio netto verificatesi successivamente al periodo di imposta 2015 assumono una propria rilevanza, indipendenti l’una dalle altre. Per tali soggetti le variazioni del patrimonio netto successive al 2015 sono in altri termini targate, e per questo facilmente identificabili ai fini della maggiorazione.
Per le società di capitali, al contrario, il dubbio permane. Per tali soggetti la variazione annuale del patrimonio netto perde la propria autonomia ed anno di formazione, per confluire, ai sensi dell’articolo 1 comma 2 del DL n. 201 del 2011, nella variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. In questo modo, tuttavia, la norma perderebbe senso ed efficacia. Se l’obiettivo è quello di favorire l’accesso di nuovi capitali dopo gli effetti dell’annus horribilis del 2020 sui patrimoni netti aziendali, allora la variazione positiva del 2021 non deve confluire nella complessiva variazione del patrimonio netto. In questo modo, in linea con la ratio della norma, sarà necessario effettuare due distinti calcoli: il primo avente ad oggetto la variazione del patrimonio dal 31/12/2010 al 31/12/2020, secondo le modalità “ordinarie”; il secondo relativo alla sola variazione 2021, rilevante ai fini della maggiorazione in commento.