Favor rei, il medioevo è alle porte

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

Il favor rei costituisce un principio di civiltà giuridica. Esso, che ha trovato spazio fra le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, nello specifico all’articolo 3, commi 2 e 3, del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, sancisce l’irrilevanza dal punto di vista sanzionatorio delle violazioni che, in ragione dell’evoluzione dell’ordinamento tributario, non costituiscono più comportamento punibile ovvero, secondo una diversa prospettiva, la prevalenza delle disposizioni sanzionatorie successive, se più favorevoli.

Pertanto, nell’ipotesi di successione di norme nel tempo in relazione alla medesima fattispecie ricorre il principio del favor rei, in base al quale si applica la legge più favorevole ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sia quando una legge posteriore prevede che la stessa fattispecie non sia più punibile, sia quando stabilisce sanzioni di entità diversa rispetto alla legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione.

La norma, in particolare, nella sua applicazione concreta, riguarda tanto le ipotesi in cui la disposizione sopravvenuta si limiti ad abolire la sola sanzione, o a ridurla, lasciando in vita l’obbligatorietà del comportamento, quanto quelle in cui venga eliminato ad origine l’obbligo strumentale e, quindi, neutralizzato il comportamento che, sempre secondo la normativa previgente, costituiva violazione. Quest’ultimo è il profilo indiretto del favor rei che si manifesta quando è il venir meno della rilevanza del comportamento presupposto ad imporre il trattamento sanzionatorio più favorevole.

Quest’ultima prospettiva, ampiamente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, consente l’applicazione del principio in parola ogni qual volta la condotta che prima integrava una violazione fiscale non costituisce più il presupposto per l’irrogazione della sanzione (Cass. n. 32304 del 2018, Cass. n. 13235 del 2016). Secondo la Suprema Corte di Cassazione il principio si impone quanto è l’elemento normativo della fattispecie ad essere stato cancellato dall’ordinamento, diventando, in base al regime sopravvenuto, fatto neutrale (Cass. n. 26423 del 2018).

In linea generale, affinché il principio in commento possa trovare applicazione, la normativa sopraggiunta deve determinare, in concreto, un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto a quello applicabile in passato, occorrendo effettuare una valutazione in concreto delle diverse discipline sanzionatorie nel loro complesso, e non di singoli e specifici aspetti delle stesse e delle conseguenze effettivamente derivanti dall’applicazione dell’una o dell’altra norma. Nella sua prospettiva indiretta, in particolare, questo significa che dalla successione delle norme deve verificarsi un effettivo abolitio criminis, e non una mera successione di norme che modifichi la fattispecie, ma la lasci in continuità rispetto al passato. L’applicazione dell’articolo 3, comma 2, D.lgs. n. 472 del 1997, presuppone, in altri termini, che lo jus superveniens abbia determinato un fenomeno effettivamente abrogativo della normativa originaria.

Più nel dettaglio, in tema di sanzioni amministrative tributarie, costituisce principio di diritto quello secondo il quale non si è in presenza di un abolitio criminis se la sopravvenuta modifica della disciplina integra un fenomeno meramente successorio, ovvero quando, in esito alla comparazione tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle disposizioni confrontate, persiste un’area di coincidenza tra le fattispecie tale per cui, al di là delle modifiche intervenute, benché più favorevoli, vi sia una sostanziale continuità strutturale delle diverse previsioni che si sono succedute nel tempo, tra loro in rapporto di identità o, quanto meno, di continenza per essere gli elementi costitutivi previsti dalla nuova disciplina già tutti compresi in quella precedente (Cass. n. 19738 del 2021). In sintesi, se la norma abroghi il comportamento punibile, non vi dovrebbero essere dubbi in merito.

Pur tuttavia, secondo una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, l’eliminazione di un adempimento con decorrenza da un determinato periodo di imposta sembrerebbe escludere, solo per questo motivo, l’abrogazione della relativa sanzione pecuniaria per gli anni anteriori (Cass. n. 24648 del 2021). Questa, obiettivamente, sembra essere una forzatura. Salvo abbandonare le stesse argomentazioni che precedono, che costituiscono ormai orientamento prevalente ed univoco, la disposizione che imponga una determinata decorrenza alla norma, ovvero che disponga l’abolitio criminis o, più banalmente, la riduzione del profilo sanzionatorio più favorevoli nel tempo da un determinato momento, non deve avere alcuna rilevanza. Salvo che la norma non deroghi espressamente (Cass. 6651 del 2016), l’abrogazione tout court dell’adempimento rilevante ai fini della violazione costituisce un fatto indiscutibile che esclude, sempre, la sua punibilità successiva. Dopotutto, la decorrenza della norma è parte stessa del favor rei, perché da essa scaturiscono i suoi effetti.