Il ravvedimento speciale delle violazioni tributarie previsto dal disegno di legge della manovra finanziaria, come ogni procedura di ravvedimento o definizione agevolata, ha implicazioni rilevanti sotto il profilo penale, sia per la non punibilità conseguente al pagamento integrale del debito tributario, che per l’applicazione delle circostanze attenuanti. Non si tratta, tuttavia, di un salvacondotto che sfugge alle regole generali della disciplina dei reati in materia di imposte, ma dell’ennesima misura utile al fine.
La definizione in commento consentirà ai contribuenti di regolarizzare le violazioni riguardanti le dichiarazioni relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e precedenti, diverse da quelle formali e da quelle rilevabili dal controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi, ovvero differenti da quelle definibili con la regolarizzazione delle irregolarità formali e la definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni, mediante il pagamento di una sanzione pari ad un diciottesimo del minimo edittale, in otto rate trimestrali di pari importo. Il ravvedimento speciale, del tutto assimilabile all’istituto del ravvedimento di cui all’articolo 13 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si differenza da quest’ultimo per il minore carico sanzionatorio e, soprattutto, per il versamento in forma rateale delle somme dovute. Come il ravvedimento ordinario, invece, anche per il ravvedimento speciale la regolarizzazione è consentita sempre che le violazioni non siano stata già contestate con un formale atto di recupero, ovvero un atto di liquidazione, di accertamento o di recupero, di contestazione e di irrogazione delle sanzioni.
Considerando le limitazioni previste dalla stessa disposizione istitutiva, tale procedura di definizione troverà applicazione essenzialmente nei casi di dichiarazione fraudolenta o infedele. Da escludersi, invece, la possibilità di avvalersi del ravvedimento speciale nel caso, più estremo, di omessa dichiarazione. Il ravvedimento speciale, come ogni altra ipotesi di ravvedimento, presuppone l’esistenza di una dichiarazione regolarmente presentata, anche tardiva.
Passando al profilo penale tributario, benché la regolarizzazione da ravvedimento speciale si perfezioni con il versamento di quanto dovuto, ovvero della prima rata, entro il 31 marzo 2023 a titolo di imposte, sanzioni e interessi, il suo perfezionamento non costituisce, di per sé, una causa di non punibilità rilevante sotto il profilo penale. Affinché per i reati di dichiarazione infedele o fraudolenta sia possibile beneficiare delle cause di non punibilità, infatti, l’articolo 13 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, indipendentemente dalla definizione prescelta, presuppone l’estinzione del debito tributario, comprese le sanzioni e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti. Al massimo, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario si trovi in fase di estinzione del debito mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo che il Giudice, qualora lo ritenga necessario, ha facoltà di prorogare una sola volta per non oltre tre ulteriori mesi. Di pari il pagamento integrale, sempre in tempi particolarmente stringenti, ovvero prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, costituisce la condizione essenziale per il riconoscimento delle attenuanti previste dall’articolo 13-bis del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Sotto tale profilo, pertanto, il ravvedimento speciale si aggiunge al lungo elenco di speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, tutte utili ai fini della definizione del debito, ma nessuna sufficiente a sollevare il contribuente, con il suo perfezionamento, dal pagamento integrale degli importi dovuti a seguito della definizione (che potrebbero essere inferiori al debito originario). Sul punto è fondamentale ricordare che secondo la Suprema Corte di Cassazione le speciali procedure conciliative di cui al Decreto Legge n. 119 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 136 del 2018, del tutto analoghe a quelle previste dalla prossima “tregua fiscale”, sono riconducibili a quelle indicate all’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, a prescindere dal fatto che, per effetto di tali procedure, non sono dovute le sanzioni e, in parte, anche gli interessi (Cass. n. 19637 del 2022, Cass. n. 34940 del 2020). In questo senso propende il richiamo, volutamente generico, alle “speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento” previste dalle norme tributarie.