Liti pendenti: la definizione non è un condono. Il ricorso deve essere “reale”

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

La definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti presso la giurisdizione tributaria non è un condono. L’impugnazione tardiva a fini meramente strumentali, ovvero per creare artificiosamente un contenzioso che permetta il pagamento di una minore imposta rispetto a quella indicata nell’avviso di accertamento, non costituisce una fattispecie meritevole di tutela.

La manovra finanziaria, con qualche lieve differenza rispetto alla precedente versione di cui all’articolo 6 del Decreto Legge 23 ottobre 2018, n. 119, ha introdotto nuovamente una procedura di definizione agevolata delle liti pendenti, in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello innanzi alla Corte di Cassazione a seguito di rinvio, alla data di entrata in vigore della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. Sono da considerarsi pendenti ai fini della presente disposizione agevolata le controversie per le quali sia stato proposto l’atto introduttivo del giudizio di primo grado entro il 31 dicembre 2022, non definite alla data di presentazione della domanda di definizione, le liti interessate da una pronuncia in primo o in secondo grado i cui termini di impugnazione non siano ancora scaduti alla data del 31 dicembre 2022 e le liti pendenti innanzi al giudice del rinvio o, infine, quelle per le quali siano ancora in corso, al 31 dicembre 2022, i termini per la riassunzione.

In particolare, con riferimento alle controversie del primo grado di giudizio, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina del reclamo e della mediazione di cui all’articolo 17-bis del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, occorre fare riferimento alla data in cui il ricorso introduttivo è stato regolarmente notificato all’Ufficio. Non assume alcuna rilevanza, invece, la data di costituzione in giudizio.

Sul punto, tuttavia, non è sufficiente rilevarsi tempestivi. Benché la stessa Amministrazione Finanziaria si sia espressa in senso favorevole rispetto alla possibilità di definizione delle liti pendenti instaurate mediante ricorsi affetti da vizi di inammissibilità, in quanto proposti oltre i termini prescritti dalla Legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti dall’articolo 18 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992 (Circolare n. 6/E del 2019), deve essere esclusa ogni forma di abuso del processo. Sul punto la Corte di Cassazione ha chiaramente affermato che ai fini della definizione delle liti fiscali pendenti, la pendenza della lite deve intendersi in senso formale, per cui i vizi implicanti l’inammissibilità (ma non la radicale inesistenza) dell’atto di instaurazione del giudizio non sono ostativi alla sua definizione, essendo sufficienti la potenziale idoneità dell’atto ad aprire il sindacato sul provvedimento impositivo, indipendentemente da un preventivo riscontro e da una pronuncia sulla ritualità in concreto dell’iniziativa del contribuente, e che esso non sia già stato dichiarato inammissibile dal giudice tributario con sentenza definitiva (Cass. 22502 del 2013; si veda anche Cass. nn. 16000 del 2000, 2905 del 2002, 5035 del 2003, 23173 del 2005, 26841 del 2007, 1052 del 2008, 6841 del 2013). Pur tuttavia, in presenza di elementi dai quali emerga, in modo evidente e inequivocabile, il carattere meramente fittizio e artificioso della controversia principale, instaurata all’uopo per beneficiare delle riduzioni offerte dalla definizione delle liti pendenti e, quindi, al solo fine di creare il presupposto per poter fruire del beneficio, la definizione potrà essere negata. La definizione deve vertere su liti reali, che si contraddistinguano per un margine di incertezza, anche minimo (Cass. n. 1271 del 2014).

Un chiaro elemento sintomatico della configurabilità di un uso abusivo del processo è costituito dal fatto che il contribuente impugni l’atto impositivo ben oltre il termine di legge, all’occorrenza, senza nulla argomentare in ordine alla perdurante ammissibilità dell’impugnazione nonostante il tempo trascorso, come in tutte le altre ipotesi di radicale inesistenza, che svuotino l’iniziativa processuale (assenza di reali motivi di ricorso) e la renda del tutto pretestuosa e strumentale. Tale orientamento risponde ai canoni generali di correttezza e buona fede, centrali nei rapporti obbligatori in genere ed in quelli tra fisco e contribuente in particolare, come previsto dall’articolo 10 dello Statuto del Contribuente, nonché dai principi di lealtà processuale (art. 88 c.p.c.) e del giusto processo (art. 111 Cost.).

Pertanto è necessario diffidare da chi propone soluzioni miracolose. La proposizione del ricorso, vuoto nel contenuto, del tutto strumentale e finalizzata esclusivamente ad accedere alla procedura di definizione agevolata delle liti pendenti si espone al rischio concreto di diniego, non rappresentando la presente una fattispecie meritevole di tutela.