In attesa di conoscere l’orientamento che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione vorranno imprimere alla dicotomia esistente fra credito “inesistente” e credito non “spettante”, differenza rilevante sia ai fini del regime sanzionatorio che dei maggiori termini di decadenza previsti per i crediti “inesistenti” dall’articolo 27, comma 17 del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, l’utilizzo dei crediti d’imposta in misura maggiore rispetto a quelli spettanti può determinare una terza via, con conseguenze diverse rispetto a quelle previste dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. Altro che dicotomia, esiste a tutti gli effetti una tricotomia.
Secondo una storica impostazione, con riferimento ai crediti erariali liquidati nella dichiarazione dei redditi, l’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo n. 471 del 1997 dispone che se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza del credito “utilizzato”. Lo stesso schema è previsto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto dal successivo articolo 5, comma 4, Decreto Legislativo n. 471 del 1997, secondo il quale se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza di credito “utilizzato”.
Entrambe le disposizioni normative appena illustrate sono strettamente connesse alla peculiare fattispecie di dichiarazione infedele, da tenersi distinta dall’ipotesi di violazione degli obblighi strettamente inerenti il versamento delle imposte, prevista per i crediti non spettanti dall’articolo 13 Decreto Legislativo n. 471 del 1997, nonchè da quella inerente l’indebita compensazione di crediti d’imposta inesistenti. Alle distinte fattispecie individuate all’articolo 13 Decreto Legislativo n. 471 del 1997, oggi all’attenzione della giurisprudenza di legittimità, si affianca pertanto una terza via, salda nel tempo, connessa all’illegittimo utilizzo fatto del credito d’imposta in conseguenza dell’infedele dichiarazione.
Partendo dal presupposto che non si ha profilo di infedeltà nella rettifica della dichiarazione a seguito di liquidazione della stessa ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, i crediti illegittimamente compensati che scaturiscono dall’infedele dichiarazione sono autonomamente sanzionati, senza alcuna rilevanza ai sensi dell’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 471 del 1997.
Per questo motivo parlare di dicotomia (Cass. n. 3784 del 2023), invece che di tricotomia, potrebbe risultare riduttivo. Le fattispecie rilevanti ai fini dell’irregolare utilizzo dei crediti d’imposta, infatti, sono tre. La prima, collegata all’infedele dichiarazione, quando il credito, poi effettivamente utilizzato, dipende da violazioni sostanziali dichiarative, quale l’omessa dichiarazione di una categoria reddituale o l’indicazione di un reddito inferiore a quello reale, alla quale di applica la sanzione amministrativa pecuniaria dal novanta al centottanta per cento del credito utilizzato (oltre alla maggiore imposta dovuta). La seconda fattispecie, limitata all’utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti, ma in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti, alla quale si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari al trenta per cento del credito utilizzato. La terza, certamente più grave, relativa all’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, alla quale si applica la sanzione amministrativa pecuniaria dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi (Cass. n. 34445 del 2021).
Quest’ultima fattispecie, in particolare, è relativa alle violazioni più gravi, ovvero elle ipotesi in cui manca qualsivoglia presupposto costitutivo, ovvero quando la situazione creditoria non emerge dai dati contabili, patrimoniali-finanziari del contribuente, anche infedelmente rappresentanti, e quando tale mancanza non sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria. La fattispecie in commento, caratterizzata da evidenti caratteri di fraudolenza, è tipicamente, ma non esclusivamente, collegata all’indebita fruizione di agevolazioni tributarie e a tutti i casi in cui è chiara la volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’erario con una posta creditoria artificiosamente creata all’occorrenza.