Partecipare al procedimento di accertamento è un’impresa

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

La bozza della legge delega in tema di riforma fiscale evidenzia tutte le contraddizioni dell’odierno sistema tributario. Soprattutto in tema di procedimento di accertamento la riforma allo studio dell’esecutivo si propone di stravolgere alcuni punti fermi dell’Amministrazione finanziaria e le convinzioni della giurisprudenza di legittimità.

La bozza di riforma fiscale intende agire sull’applicazione generale del principio del contraddittorio preventivo, a pena di nullità, in tutte le ipotesi di accertamento, ampliare il diritto di accesso del contribuente agli atti del procedimento tributario ed estendere gli obblighi di motivazione degli atti tributari, per favorire una reale interlocuzione. Sempre in ottica di rinnovata collaborazione, la bozza di riforma intende armonizzare termini e adempimenti ed escludere la decadenza da benefici fiscali in caso di inadempimenti formali di minore gravità.

Alla luce dell’odierno contesto, particolarmente difficile, sulla carta si tratta di una rivoluzione dei rapporti fra contribuenti e Amministrazione finanziaria. Oggigiorno, infatti, è dura la vita dei contribuenti quando si attiva la macchina dei controlli fiscali. Se si escludono gli accertamenti in materia di imposta sul valore aggiunto, ove il contraddittorio preventivo costituisce un pilastro del procedimento di accertamento in tutti i casi in cui la partecipazione del contribuente, con le sue osservazioni, avrebbe potuto comportare un risultato diverso (Cass. n. 24823 del 2015), in tutti gli altri casi il contraddittorio preventivo è una chimera.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso ogni forma di confronto fra contribuente e Amministrazione finanziaria. Ciò accade sia negli accertamenti che seguono gli accessi, ispezioni e verifiche, sia nei cosiddetti controlli a “tavolino”.

Sotto il primo punto di vista il procedimento previsto dall’articolo 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, secondo il quale dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori e l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza, non costituisce una fattispecie riconducibile al contraddittorio preventivo.

Ricevute le osservazioni del contribuente l’Amministrazione finanziaria non ha alcun specifico obbligo, né ai fini del procedimento di accertamento né ai fini della motivazione dell’atto impositivo. È consolidato principio della Corte di Cassazione quello secondo il quale l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. 1778 del 2019).

La cosiddetta motivazione “rafforzata”, con la quale l’ente impositore dovrebbe pronunciarsi sulle osservazioni formulate dal contribuente per rendere espliciti i motivi del rigetto, non ha mai trovato spazio e costituisce, tutt’oggi, uno dei principali ostacoli ad una virtuosa interlocuzione nell’ambito del procedimento di accertamento. Per la giurisprudenza di legittimità, a differenza di quanto accade per la Corte di Giustizia Europea, la nullità non può che dipendere da irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto. Secondo tale granitico orientamento per i tributi “non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi, poche, in cui risulti specificamente sancito.

Anche nei controlli a “tavolino” il contribuente è spogliato da qualsivoglia reale possibilità interlocuzione. Nonostante, molto spesso, la mole del controllo sia del tutto assimilabile ad una vera e propria verifica, per il controllo a “tavolino” vigono i medesimi principi. Fatto salvo l’ambito inerente i tributi armonizzati, dove il contraddittorio preventivo non trova ostacoli, i controlli a tavolino sono diversi dalle verifiche fiscali e, più in generale, dai controlli che si effettuano presso la sede del contribuente mediante accessi ed ispezioni. Per tali controlli semplificati, pertanto, viene meno anche il riferimento all’articolo 12, comma 7, dello Statuto del contribuente e, di conseguenza, la possibilità di usufruire del termine dilatorio per l’emissione dell’avviso di accertamento.

Nei tentativi attuati fino ad ora troppo poco è stato fatto. Se si esclude la disciplina in tema di abuso del diritto, ove l’atto di accertamento deve essere preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti e l’atto impositivo deve essere specificamente motivato, sempre a pena di nullità, anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente, l’introduzione dell’invito obbligatorio di cui all’articolo 5-ter del Decreto Legislativo 19 giugno 1997, n. 218, che prevede procedure ed effetti analoghe, risulta del tutto insufficiente. Tale misura, infatti, non è applicabile nei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, né per gli avvisi di accertamento parziale previsti dall’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

Orbene, se davvero si vogliono eliminare tutti gli ostacoli descritti, il diritto del contribuente a partecipare al procedimento di accertamento, quello che definiamo contraddittorio preventivo endoprocedimentale, dovrà essere unico, inderogabile e generalizzato. Solo in questo modo, infatti, sarà possibile raggiungere la parità delle armi.