CFP “perequativo”: l’Agenzia non è un buon esempio

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

L’accidentato percorso che condurrà all’agognata erogazione del contributo a fondo perduto “perequativo“ introdotto dall’articolo 1, comma 16, del DL n. 73 del 2021 continua nel segno dell’incognita. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha confermato che il decreto ministeriale attuativo, avente ad oggetto la determinazione della percentuale da applicarsi alla riduzione del risultato economico d’esercizio relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020 rispetto a quello relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, verrà pubblicato solo successivamente al 30 settembre 2021, termine previsto per l’invio delle dichiarazioni dei redditi finalizzate all’ottenimento del contributo, la cui proroga è stata anticipata dal MEF con il comunicato stampa n. 172 del 6 settembre 2021.

In attesa di conoscere il contenuto del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale è stata modificata la scadenza prevista dall’articolo 1, comma 24, del DL n. 73 del 25 maggio 2021, ad oggi non ancora transitato in Gazzetta Ufficiale, le novità sono limitate al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 4 settembre 2021 con il quale sono stati individuati gli specifici campi delle dichiarazioni dei redditi rilevanti ai fini del conteggio della riduzione del reddito.

Il Provvedimento, che si estrinseca in una tabella riepilogativa dei righi interessati, riserva alcune sorprese incomprensibili. Emblematico è il caso delle imprese che producono reddito agrario. Per l’Amministrazione Finanziaria la riduzione rilevante del reddito, che secondo il Legislatore doveva misurare le difficoltà avute dagli operatori economici maggiormente colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid-19”, deve essere parametrica al reddito agrario imponibile. Peccato che per tali soggetti la riduzione reale del reddito attinente l’attività agricola effettivamente svolta sia assolutamente scisso dalle modalità di determinazione forfettaria del reddito. Da questo punto di vista, salvo variazioni catastali rilevanti, tali soggetti sono destinati a restare irrimediabilmente esclusi dall’incentivo.

Altrettanto incomprensibile appare la scelta per alcuni soggetti, quali quelli in contabilità ordinaria, semplificata e per i lavoratori autonomi, di determinare la spettanza del contributo a fondo perduto “perequativo” secondo il reddito analitico al lordo delle perdite e dei contributi previdenziali, mentre per altri operatori economici, ovvero quelli esercenti attività di lavoro autonomo e impresa in regime vantaggio/forfettario soggetto ad imposta sostitutiva, secondo il reddito conseguente al regime applicato che è, tipicamente, al netto dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Se l’obiettivo conferito all’Amministrazione Finanziaria era quello di individuare le modalità di calcolo del peggioramento del risultato economico d’esercizio relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020, rispetto a quello relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, essa non ha assolto al proprio compito. Il Provvedimento, del tutto interlocutorio rispetto alla complessiva attuazione della normativa, pone più dubbi che certezze. Qual è il senso di legare la riduzione del reddito economico alle modalità di determinazione del reddito imponibile, creando ingiustificate disparità a seconda dell’attività esercitata e del regime adottato, se l’obiettivo era, semplicemente, quello di misurare la perdita economica subita dagli operatori?

Sorge spontaneo un ulteriore quesito. Per le anomalie descritte, il Provvedimento attuativo che non addiviene al risultato posto dal Legislatore può considerarsi regolare? Da questo punto di vista la fonte secondaria dovrebbe limitarsi ad attuare la disposizione legislativa, secondo le indicazioni e la ratio sottesa a quest’ultima. Ogni qual volta il provvedimento attuativo vada oltre i confini delineati dalle Legge, o si mostri incoerente rispetto alle finalità da perseguire, si pone un serio dubbio di legittimità.

Sul punto si colga che i rapporti tra le diverse fonti di produzione del diritto interno sono regolate secondo un criterio gerarchico in virtù del quale la fonte di grado superiore stabilisce le condizioni o fissa i limiti alla fonte di livello inferiore. Inoltre l’obbligazione tributaria, secondo la nota riserva di legge prevista dall’articolo 23 della Costituzione, deve essere definita esclusivamente in base alla legge. Ne deriva, pertanto, che le fonti secondarie, nelle quali può essere annoverato il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, si debbano limitare ad attuare la disposizione legislativa primaria, secondo un rapporto di subordinazione. La fonte secondaria, in particolare, deve evitare di integrare la Legge e deve attuarsi nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva.

Alla luce delle anomalie denunciate, quello dei contribuenti resta un lavoro al buio. Come se non bastasse il fatto di non conoscere ad oggi l’entità potenziale del contributo a fondo perduto spettante, ovvero prima dell’invio del modello dichiarativo che ne subordinata il diritto, i contribuenti sono costretti ad agire nella consapevolezza di una disposizione attuativa incoerente rispetto alle finalità fissate dalla norma. Nell’auspicio che qualcosa venga modificato, in questa fase è necessario produrre la dichiarazione dei redditi nel suo contenuto necessario, evitando qualsivoglia scorciatoia (“CFP perequativo: non abusare della dichiarazione correttiva/integrativa”). Il rischio di contestazioni nel caso di invio di modelli incompleti, se non palesemente “in bianco”, infatti, è troppo alto rispetto all’ingente lavoro profuso per arrivare a tale scadenza.