Nell’ultimo anno il Governo Italiano, nelle sue diverse formazioni partitiche, è intervenuto più volte con misure di sostegno, atte ad alleviare le difficoltà dei comparti economici maggiormente colpiti dalla emergenza sanitaria da Covid-19, attraverso il riconoscimento di molteplici contributi a fondo perduto.
Il riconoscimento del contributo a fondo perduto è però subordinato al possesso in capo al soggetto beneficiario di una serie di requisiti che devono necessariamente sussistere al momento della presentazione dell’istanza.
Difatti, l’Agenzia delle Entrate ha provveduto con apposito Provvedimento del 5 luglio 2021 a stabilire il contenuto informativo, le modalità e i termini di presentazione dell’istanza ai fini del riconoscimento del beneficio suddetto.
Il contributo a fondo perduto nel D.L. Sostegni-bis – Tra i requisiti che vengono richiesti dall’ultimo Decreto emanato, il c.d. D.L. Sostegni-bis, vi è il mancato superamento dei limiti degli aiuti di Stato rispetto a quelli già ricevuti fino al momento della presentazione della nuova istanza.
Su tale ultima circostanza è bene prestare la giusta e meritevole attenzione per il fatto che il contribuente richiedente dovrà indicare il possesso di tale requisito, ovvero, “il mancato superamento dei limiti degli aiuti di Stato” sulla base di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
È la stessa Agenzia delle Entrate che, con il succitato provvedimento, indica al contribuente i riferimenti normativi, stabilendo che “L’istanza, contiene le dichiarazioni – rese dal richiedente ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000 – …”
Le conseguenze penali in caso di dichiarazioni mendaci – Invero, le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell’articolo 4, comma 2, sono considerate come “dichiarate” a pubblico ufficiale, ragion per cui, qualora un soggetto, in tal caso il contribuente, certifichi fatti, qualità, stati non rispondenti al vero, il nostro sistema giuridico ricollega inevitabilmente effetti di natura penale al soggetto che le ha rese. Difatti, è lo stesso D.P.R. n. 445/2000 ad indicare quali siano le sanzioni e le conseguenze penali che possono conseguire a seguito della presentazione di una “dichiarazione mendace”.
Nello specifico, occorre fare riferimento all’articolo 75 del D.P.R. n. 445/2000, rubricato “Decadenza dei benefici”, il quale infligge in maniera chiara e netta la sanzione della decadenza dei benefici a chi abbia conseguito quest’ultimi a seguito di una dichiarazione mendace, nonché l’inibizione ad ottenere agevolazioni pubbliche per un periodo di 2 anni.
Inoltre, l’altra norma a cui fare riferimento è l’articolo 76 dello stesso decreto rubricato “Norme penali” (si evidenzia che il D.L. n. 76 del 2020 ha previsto l’aumento da un terzo alla metà della sanzione ordinaria), nel quale appare chiaro l’intento del legislatore, ovvero, quello di punire chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, formando atti falsi o chi semplicemente ne fa uso. Peraltro, ai sensi dello stesso art. 76 il soggetto agente “è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”.
Sulla base di tale ultimo assunto le fattispecie incriminatrici previste dal codice penale cui l’articolo 76 rimanda sono riferibili all’articolo 483 c.p. rubricato “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”; all’art. 495 c.p. “Falsa attestazione o dichiarazione ad in pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”; all’art. 496 c.p. “False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”.
Per quanto concerne la fattispecie delittuosa prevista dall’art. 483 c.p. si evidenzia, la circostanza che la giurisprudenza ha precisato più volte che il delitto in esame è assorbito da quello di cui all’articolo 316-ter in tutti quei casi in cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi costituiscono elementi essenziali per la sua configurazione.
Tale ultima circostanza, difatti, è specificata anche a pagina 8 del suddetto Provvedimento in cui l’Agenzia delle Entrate stabilisce che “Qualora dai predetti controlli emerga che il contributo sia in tutto in parte non spettante, anche a seguito dei successivi riscontri di regolarità antimafia, l’Agenzia delle entrate procede all’attività di recupero della parte di contributo non spettante, irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’art. 13, comma 5, del D.lgs. n. 471/1997, e gli interessi dovuti ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973, in base alle disposizioni di cui all’art. 1, commi da 421 a 423, della Legge n. 311 del 2004. Resta ferma, ricorrendone i presupposti, l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 316-ter c.p.”.
L’articolo 316-ter c.p. prevede la fattispecie di reato di “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”, il quale, punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, e «salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee».
Dunque, l’art. 316-ter c.p. sarà applicato ogniqualvolta dalle dichiarazioni mendaci il soggetto agente consegua indebitamente erogazioni da parte dello Stato e in danno a quest’ultimo. Infatti, bene giuridico tutelato in tal caso è il buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Si rileva in conclusione l’intento del legislatore di avvertire i richiedenti il contributo a fondo perduto delle possibili conseguenze penali nel caso di dichiarazioni mendaci essendo testualmente richiamate le sanzioni penali eventualmente applicabili in tal senso.