Le conseguenze dell’inadempimento nei pagamenti delle somme dovute a seguito dell’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate resta un nervo scoperto dell’ordinamento tributario. Benché risolto in via legislativa, il tema attinente alla base di calcolo della sanzione conseguente all’inadempimento non sempre viene risolto, come dovrebbe, in senso favorevole al contribuente.
L’articolo 15-bis del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 dispone che in caso di rateazione ai sensi dell’articolo 3-bis del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 delle somme dovute a seguito dei controlli automatizzi o formali dell’Amministrazione Finanziaria, il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e, soprattutto, sanzioni in misura piena (sempre sul residuo).
Come noto la principale conseguenza della decadenza dal piano di rateazione è il differente trattamento dal punto di vista sanzionatorio. Le somme rateizzate ai sensi della predetta disposizione, infatti, godono di una riduzione a un terzo delle sanzioni ordinariamente previste per i ritardati/omessi versamenti diretti. Un’agevolazione, strettamente collegata alla regolarità del piano di versamento, che viene meno in caso di decadenza. In tale ipotesi l’Amministrazione Finanziaria provvede “all’’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena”.
Già nella Circolare n. 17/E del 2016, valorizzando il dato letterale, l’Amministrazione Finanziaria ebbe modo di chiarire che “qualora il contribuente non effettui il versamento della rata entro il termine di pagamento di quella successiva (o comunque esegua un versamento carente in misura eccedente il limite del lieve inadempimento) si determina la decadenza dalla rateazione e l’Ufficio iscrive a ruolo, oltre ai residui importi dovuti a titolo di imposta, le sanzioni nella misura piena del 30 per cento e gli interessi, applicati entrambi sul residuo importo dovuto a titolo di imposta”. In particolare, chiarendo la propria posizione, l’Agenzia delle Entrate specificò che in assenza di importi dovuti a titolo di imposta, come accadrebbe nel caso in cui la comunicazione degli esiti riguardi le sole tardività nei versamenti dovuti, sono ricalcolati in misura piena solo gli importi residui a titolo di sanzione.
In questo senso, dopotutto, si esprime chiaramente la stessa normativa. L’iscrizione a ruolo conseguente alla decadenza dal piano di rateazione è espressamente prevista per i soli residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, benché ricalcolate in misura piena del 30 per cento.
Nonostante la chiara presa di posizione non sempre l’Amministrazione Finanziaria ha agito secondo le proprie dichiarazioni pubbliche. È diffusa, infatti, la tendenza degli Uffici a iscrivere a ruolo, oltre ai residui importi dovuti a titolo di imposta, le sanzioni dovute nella misura piena del 30% e gli interessi, non applicati sul residuo importo dovuto a titolo di imposta, ma sull’intero importo lordo dell’imposta dovuta, anche sui versamenti rateali nel frattempo eseguiti. Si tratta, in particolare, di un atteggiamento influenzato dalla vecchia formulazione dell’articolo 3-bis del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 secondo la quale la decadenza dalla rateazione comportava l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena, dedotto quanto versato.
Questo atteggiamento ancora attuale, che non trova più riscontro nella norma, è tale da determinare conseguenze oltremodo gravare. Si pensi al caso del contribuente che, nonostante l’intervenuta decadenza, abbia proseguito nei versamenti fino a completare il piano di pagamento, fattispecie piuttosto diffusa in assenza della notifica di un formale avviso di decadenza. In questo caso l’Agenzia delle Entrate procede a iscrivere a ruolo l’importo complessivamente dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena, salvo dedurre successivamente quanto versato, come, appunto, avveniva in passato.
Pur mancando una chiara presa di posizione della Corte di Cassazione, in più occasioni la giurisprudenza di merito ha criticato l’atteggiamento dell’Amministrazione Finanziaria. Secondo la Commissione Tributaria Regionale della Campania (8031/3/2021) il regime sanzionatorio deve essere proporzionato alla violazione commessa che, trasposto nella fattispecie in commento e secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, non può che comportare la necessità che quest’ultimo sia proporzionato all’illecito commesso ovvero all’inadempimento, con la conseguenza che le sanzioni piene, pari al 30%, debbano essere applicate solo sull’imposta nel frattempo non versata. Soluzione avallata dalla recente pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (366/2/2022) secondo la quale non è possibile ignorare il fatto che sia stata la stessa Agenzia delle Entrate, nella citata Circolare n. 17/E 2016, ad affermare che “l’Ufficio iscrive a ruolo, oltre ai residui importi dovuti a titolo di imposta, le sanzioni dovute nella misura piena del 30% e gli interessi, applicati entrambi sul residuo importo dovuto a titolo di imposta”. In senso conforme, infine, la sentenza della Commissione Regionale del Veneto n. 81/8/2021.