Tra le principali novità introdotte dalla Legge di bilancio 2023, Legge 29 dicembre 2022, n. 197, all’articolo 1, comma 54, lettera b), troviamo l’introduzione di una nuova clausola ostativa, che si differenzia profondamente da quelle previste sino ad ora, in quanto comporta la fuoriuscita immediata dal regime agevolato.
La norma testualmente prevede: “All’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, in materia di regime forfettario per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 54, lettera a), le parole: «euro 65.000» sono sostituite dalle seguenti: «euro 85.000»; b) al comma 71 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Il regime forfettario cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro. In tale ultimo caso è dovuta l’imposta sul valore aggiunto a partire dalle operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite».
Dell’incremento della soglia di ricavi / compensi da 65.000 a 85.000 euro si è già abbondantemente discusso. Quel che interessa, in questa sede, è la lettera b) del sovra riportato articolo 1 comma 54.
Due domande ricorrono con frequenza. La prima: tale soglia è da intendersi in senso assoluto, oppure ragguagliata a periodo? La seconda: come sarà determinato il reddito nell’anno in cui dovesse avvenire il superamento della nuova soglia dei 100.000 euro di ricavi e compensi?
In ordine alla prima problematica, a parere di chi scrive, la soglia deve essere intesa in senso assoluto. Quanto sopra, in primo luogo, poiché la norma non dispone in alcun modo (a differenza di quanto previsto per la soglia degli 85.000 euro) che si debba tenere in considerazione il ragguaglio a periodo. In secondo luogo, poiché anche la logica impone di pensare a tale soglia in senso assoluto.
Immaginando, infatti, che così non fosse, si potrebbe addivenire a situazioni paradossali. Ad esempio, un soggetto che svolge un’attività avente carattere stagionale, potrebbe ritrovarsi a fine agosto, in ipotesi, con 90.000 euro di ricavi, e poi non conseguire nessun altro ricavo sino all’anno successivo. In questo caso, se tale soggetto fosse obbligato ad abbandonare il regime forfettario in ragione di un ipotetico ragguaglio a periodo dei ricavi conseguiti, si troverebbe estromesso dal regime agevolato, e indebitamente discriminato rispetto ad altri contribuenti, che magari chiudono l’esercizio con 99.999 euro di ricavi.
Quanto alla seconda domanda, ci si trova dinnanzi alla grande incognita di questa nuova causa ostativa, che dal punto di vista IVA prevede – espressamente – una fattispecie tutta nuova: il passaggio in corso d’anno da soggetto “non IVA” a soggetto “IVA”.
Tutta nuova, ripetiamo, poiché anche volendo tentare un parallelismo con i vecchi “minimi” (contribuenti in regime di vantaggio), è possibile rilevare rapidamente che tale parallelismo non ha ragione d’essere. Infatti, la legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 111, prevede: “… Il regime cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti superano il limite di cui al comma 96, lettera a), numero 1), di oltre il 50 per cento. In tal caso sarà dovuta l’imposta sul valore aggiunto relativa ai corrispettivi delle operazioni imponibili effettuate nell’intero anno solare, determinata mediante scorporo ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 per la frazione d’anno antecedente il superamento del predetto limite o la corresponsione dei predetti compensi, salvo il diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti relativi al medesimo periodo”.
Basta il richiamo alla “vecchia” normativa dei minimi per comprendere che assimilare automaticamente le fattispecie della fuoriuscita dal regime di vantaggio e della nuova clausola di fuoriuscita dal regime forfettario non è corretto. Nel primo caso, infatti, veniva richiesto di rideterminare l’IVA per l’intero anno, al raggiungimento di 45.000 euro di ricavi / compensi (ovvero la soglia dei minimi, 30.000 euro, maggiorata del 50%), tanto che la Circolare Ade 73/E/2017 aveva precisato che dovevano immediatamente essere istituiti i registri IVA, sui quali “annotare i corrispettivi e gli acquisti effettuati anteriormente al superamento del limite entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale IVA”.
Nel caso dei nuovi forfettari 2023, invece, l’IVA è dovuta a partire dalle operazioni effettuate che comportano il superamento del limite dei 100.000 euro, ovvero nessuna rideterminazione dell’intero anno viene prevista dalla nuova normativa. Di conseguenza, i registri IVA devono essere istituiti al superamento della soglia, e gestiti da quel momento in poi.
La differenza nei due dettati normativi risulta chiara e netta.
A questo punto occorre domandarsi se da ciò possa discendere anche un diverso approccio dal punto di vista della determinazione delle imposte dirette.
Partiamo come sempre dalla norma: la vecchia norma, così come la nuova, dispongono che il regime viene meno “dall’anno stesso” in cui si presenta il problema. L’utilizzo della medesima formulazione lascia pensare, pertanto, che anche il forfettario estromesso dovrà tassare l’intero esercizio applicando l’IRPEF ordinaria. Peccato che questo ragionamento vada a scontrarsi con il fatto che l’ex forfettario acquisisce lo “status” di soggetto IVA non dall’inizio dell’anno (come previsto per i minimi), bensì dal momento della fuoriuscita. È pertanto da tale momento che dovranno essere istituiti i libri IVA (oltre che adempiute tutte le ulteriori incombenze, quali LIPE, dichiarazione IVA annuale ecc.). Come conciliare le due cose, posto che tali libri IVA (in alcuni casi opportunamente integrati o affiancati dai registri incassi e pagamenti) costituiscono anche la base di partenza per la determinazione del reddito, base indispensabile nel caso in cui il passaggio avvenga a contabilità semplificata per IVA per cassa?
Insomma, ci troviamo dinnanzi ad un vero cortocircuito, cui nemmeno la lettura della relazione illustrativa alla manovra fornisce soluzione. Idem per quanto riguarda la relazione tecnica, che effettua solo un rapido richiamo ai potenziali effetti positivi in termini di gettito, non si comprende se con riferimento all’IVA oppure alle dirette, per quanto, posto che l’IVA grava sul contribuente in regime forfetario, fintanto che questi mantenga il regime agevolato, il fatto che la relazione tecnica ipotizzi riflessi positivi per il gettito (seppure senza quantificarli) fa propendere per la soluzione peggiore per i contribuenti, ovvero che l’intero reddito prodotto nell’anno di fuoriuscita debba scontare tassazione a regime ordinario. Tuttavia, il riferimento potrebbe anche essere all’IVA sui corrispettivi dovuta a partire dal momento di adozione del regime ordinario dell’imposta sul valore aggiunto.
In conclusione, da un lato si assiste ad una novità assoluta in termini di IVA, mentre dall’altro, parrebbe che l’intento sia quello di attrarre a tassazione ordinaria l’intera annualità, il che comporterebbe il dover impiantare ex post una contabilità, a questo punto considerando come indetraibile (e portando a costo) l’IVA assolta ante passaggio al regime ordinario.
Non resta che attendere i dovuti chiarimenti relativi a questo panorama tutto nuovo, da un lato avendo cura di richiedere (come peraltro obbligatorio a sensi di legge) tutti i giustificativi di costo in vista di un eventuale “utilizzo” degli stessi nella determinazione della base imponibile, e dall’altro lato sperando che la novità non sia solo limitata all’IVA, visto che – come abbiamo evidenziato – un parallelismo effettuato in automatico con il vecchio regime dei minimi non è giustificato, e pertanto non è affatto da escludersi che così come l’annualità si “spezza” in termini di IVA, ciò non possa valere anche ai fini reddituali.