Giustizia Tributaria, entra in vigore la riforma

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

Entra oggi in vigore la riforma della giustizia e del processo tributario, salvo che per alcune eccezioni espressamente previste dalle disposizioni transitorie. Per ora le nuove Corti di Giustizia Tributaria, così dovranno essere definite, soppiantano, poco più che nominalmente, le precedenti Commissioni Tributarie. Nonostante sia entrata in vigore la Legge n. 130 del 2022 intestataria della riforma, lungo appare ancora il percorso verso una nuova giustizia.

Entrando nel merito delle procedure, le disposizioni in materia di processo tributario sono disciplinate prevalentemente all’articolo 4 della riforma. Questa, in primo luogo, prevede, benché dal 1° gennaio 2023, l’introduzione di un giudice monocratico dedicato alle controversie di valore fino a 3.000 euro, intendendosi per tale quello determinato ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 in tema di assistenza tecnica alla lite.

Sempre con riferimento ai principi che regolano l’attività del giudice tributario e dei suoi ausiliari, viene profondamente modificato l’articolo 7 dedicato ai poteri delle Corti di Giustizia Tributaria. Superando ogni precedente limitazione, la Corte di Giustizia Tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione, potrà ammettere la prova testimoniale, da assumere in forma scritta ai sensi dell’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Tale procedura, inserita fra i poteri istruttori, potrà essere attivata nei limiti dei fatti addotti dalle parti, in funzione meramente integrativa e non sostitutiva dell’onere di cui ciascuna parte in causa è gravata. Nei casi in cui la pretesa sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova testimoniale sarà ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.

Sempre all’articolo 7 del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 l’articolo 6 della riforma introduce, per la prima volta nell’ordinamento tributario, la norma che disciplina i criteri di ripartizione dell’onere della prova. Superando l’impostazione giurisprudenziale fondata sull’articolo 2697 del codice civile, non sempre lineare, il nuovo comma 5-bis dispone, senza mezzi termini, come sia l’Amministrazione Finanziaria il soggetto onerato di fornire in giudizio la prova delle violazioni contestate. Il giudice, in particolare, dovrà fondare la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e, di conseguenza, annullare l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Resterà fermo, come comunemente inteso oggigiorno, l’onere della prova in capo al contribuente nelle cause aventi ad oggetto la richiesta di rimborso delle imposte che non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

Quella sull’onere della prova, probabilmente, è la modifica più importante. Tale disposizione, la cui entrata in vigore non è stata espressamente differita rispetto all’entrata in vigore della riforma, avrà quale effetto automatico quello di modificare i rapporti di forza fra Amministrazione Finanziaria e contribuente, anche per i procedimenti in corso. Non potrebbe essere diversamente. Alle nuove regole di ripartizione dell’onere della prova, infatti, si collega la valutazione di fondatezza che, con la stessa disposizione, il giudice è chiamato a effettuare ai fini della decisione. Per questo motivo, in assenza di disposizione transitorie, qualsivoglia pronuncia assunta successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione, pena la sua stessa legittimità, non potrà che adeguarsi alle nuove regole di ripartizione.

Dopotutto l’onere della prova non attiene alla fase amministrativa dell’accertamento, dove si forma l’atto, ma alla successiva fase giudiziale ove l’Amministrazione Finanziaria è chiamata a dimostrare gli elementi enunciati nella motivazione dell’avviso di accertamento. Sotto tale profilo, inoltre, non si tratterebbe nemmeno di una novità, bensì di una esigenza che meritava, da troppo tempo, una definitiva soluzione. Il nuovo comma 5-bis interviene nel correggere la tendenza a diversificare i criteri di ripartizione dell’onere della prova a seconda dell’oggetto del contendere, un aspetto che si è mostrato mutevole nel tempo.