La cessione del credito e lo sconto in fattura costituiscono modalità alternative per fruire della detrazione originata dagli interventi di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione e di efficientamento energetico degli immobili (Art. 121 del D.L. n. 34/2020).
I vantaggi riguardano i soggetti committenti, ma è necessario verificare i riflessi fiscali che si verificano in capo ai professionisti disposti a concedere lo sconto in fattura. Infatti, per effetto di tale operazione, se l’intervento effettuato attribuisce il diritto a fruire di una detrazione del 110 per cento, occorre domandarsi se la quota aggiuntiva di credito, riconosciuta al concedente lo sconto in fattura, determini un maggior onere impositivo.
A tal proposito deve preliminarmente osservarsi come il legislatore abbia riconosciuto in capo al concedente lo sconto in fattura un importo pressoché equivalente alla detrazione anche nel presupposto che, a seguito della successiva cessione del credito, il soggetto acquirente avrebbe riconosciuto al cedente un importo più o meno equivalente al corrispettivo.
Si consideri ad esempio il caso di un professionista che ha fatturato al committente un importo, comprensivo di Iva, pari a 10.000 euro. In tale ipotesi lo sconto in fattura è integrale e il professionista che lo ha concesso risulterà titolare di un credito pari a 11.000 euro. Se, ad esempio, il professionista decidesse di non cedere il credito così ottenuto, a seguito della concessione dello sconto potrà utilizzare l’importo del credito in compensazione in cinque quote annuali di pari importo.
Si pone però il problema di comprendere se il maggior credito, pari a 1.000, rispetto al corrispettivo di 10.000 euro, debba o meno essere assoggettato ad imposizione. Infatti, il professionista, si trova a beneficiare di un credito aggiuntivo che, quando sarà utilizzato in compensazione determinerà, quale ulteriore vantaggio, un minor versamento.
Deve ritenersi che la differenza tra il credito ricevuto per effetto dello sconto concesso e il corrispettivo fatturato, sia riferibile ad una componente finanziaria dell’operazione. Infatti, proprio in ragione dello sconto concesso, il professionista non incasserà alcuna somma di denaro e, ad eccezione del caso in cui tale credito sia oggetto di cessione, il “recupero” del corrispettivo non percepito potrà essere effettuato nel tempo, ma in cinque anni. La differenza, nell’esempio pari a 1.000, rappresenta proprio la componente finanziaria dell’incasso “ritardato” del corrispettivo con la modalità della compensazione che però potrà essere effettuata, come detto, in cinque anni.
Tale differenza è esente da Iva ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 e non influisce sulla determinazione del rapporto di pro – rata non essendo riconducibile all’attività propria del professionista.
L’esenzione Iva è applicabile alla parte di credito d’imposta sorto in capo al committente, nella misura eccedente lo sconto praticato. Se, come nell’esempio precedente, il corrispettivo è pari a 10.000 euro e lo sconto risulta integrale, il credito che il professionista potrà accettare risulterà pari a 11.000 euro. L’operazione esente è in questo caso pari a 1.000, cioè la differenza tra il credito ricevuto e lo sconto concesso (11.000 – 10.000).
Conseguentemente, il professionista che ha concesso lo sconto, oltre alla fattura imponibile per l’intervento eseguito e l’attività di consulenza, devono annotare nel registro delle vendite l’operazione esente pari a 1.0000. Questo importo concorre a formare il volume d’affari esente, ma senza partecipare, come già detto, alla determinazione del rapporto di pro – rata, trattandosi di un’operazione accessoria rispetto alle operazioni imponibili. L’emissione della fattura non è obbligatoria, se non richiesta dal cliente.
Per ciò che riguarda le imposte sui redditi, il differenziale pari a 1.000 è completamente escluso da tassazione.
Ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo devono essere considerati solo i componenti positivi indicati dall’art. 54 del TUIR, quindi i compensi professionali percepiti, le eventuali plusvalenze, i proventi realizzati a seguito della cessione della clientela e i proventi realizzati con la cessione di elementi immateriali. Non risultano indicati i proventi finanziari. D’altra parte, nessuno può dubitare che, in mancanza di una previsione normativa espressa, gli interessi attivi accreditati dalla banca sul conto corrente dello studio non costituiscono proventi rilevanti ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo. La medesima conclusione vale nel caso in esame. La componente finanziaria realizzata a seguito della concessione dello sconto risulta completamente esclusa dalla tassazione dei redditi di lavoro autonomo. L’art. 54 del TUIR non consente la tassazione della stessa.