Lo sconto sul corrispettivo innesca il reddito del professionista

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

Sono stati necessari due anni per conoscere la posizione ufficiale dell’Amministrazione Finanziaria in tema di imputazione temporale dei compensi, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, nel caso del professionista che abbia riconosciuto al proprio committente lo sconto sul corrispettivo di cui all’articolo 121 del Decreto Legge n. 34 del 2020. Ventiquattro lunghi mesi nel corso dei quali sono state avanzate diverse soluzioni (“Superbonus: dubbio sull’imputazione temporale dei compensi professionali”), ognuna dotata di una propria dignità.

La soluzione prescelta dall’Amministrazione Finanziaria, tuttavia, è la peggiore possibile, almeno dal punto di vista del contribuente. Nell’ambito della Circolare n. 23/E del 2022 l’Agenzia delle Entrate ha affermato che l’intero importo del credito ottenuto a fronte dello sconto riconosciuto dal professionista al proprio cliente, pari al 110 per cento dello stesso in caso di Superbonus, costituisce un provento percepito nell’esercizio dell’attività professionale e, pertanto, assoggettato a tassazione ai sensi dell’articolo 54 del TUIR. Secondo l’Agenzia, inoltre, la relativa fattura con la quale è stata esercitata l’opzione per lo sconto sul corrispettivo deve considerarsi incassata, e quindi rilevante ai fini della determinazione dei compensi, sin dal momento della sua emissione.

Una considerazione tutt’altro che banale in un contesto in cui il mercato del credito non sembra avere più sbocco. Come noto il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel medesimo periodo, con talune eccezioni e limitazioni espressamente previste dal TUIR.

Per i professionisti, salvo che per i canoni di leasing e delle quote di ammortamento dei beni strumentali, delle spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione degli immobili strumentali e alle quote di trattamento di fine rapporto, vige un generalizzato principio di cassa, il cui incasso assume rilevanza a seconda dello strumento di pagamento utilizzato dal committente. Per i compensi percepiti mediante assegno bancario o circolante si deve fare riferimento al momento della ricezione materiale dell’assegno, indipendentemente dall’effettivo incasso (Risoluzione n. 138/E del 2009); per gli incassi tramite bonifico bancario assume rilevanza l’effettivo accredito sul conto corrente (Circolare n. 38/E del 2010); per i pagamenti mediante l’utilizzo della carta di credito i compensi si considerano incassati dal professionista nel momento in cui si manifesta la volontà di sostenere l’onere, ovvero in coincidenza dell’ordine di pagamento.

Fino ad oggi, per le sue peculiarità, il caso dello sconto sul corrispettivo non era stato ancora affrontato. La soluzione, secondo l’Agenzia delle Entrate, è quella di applicare, anche dal lato del professionista, il criterio di imputazione temporale delle spese, come indicato nella Circolare n. 30/E del 2020 alla risposta 5.1.1, secondo cui in caso di sconto in fattura si debba fare riferimento, in luogo della data dell’effettivo pagamento, alla data di emissione della fattura da parte del fornitore. Ciò implica, pertanto, che alla data di emissione della fattura deve ritenersi incassato il relativo provento.

Tale soluzione stride, tuttavia, con il principio di capacità contributiva. Nel considerare integralmente incassate le fatture, nonostante l’utilizzo dei crediti d’imposta avvenga in un lungo arco temporale, per di più con il rischio di non monetizzare il credito, si rischia di assoggettare ad imposizione somme che mai entreranno nella effettiva disponibilità del professionista. Proviamo ad immaginare il caso in cui il professionista riconosca uno sconto sul corrispettivo su una fattura emessa nel 2021, rilevante ai fini del Superbonus per complessivi 10.000 euro. Lo stesso professionista, divenuto titolare di un credito di 11.000 euro, composto da cinque quote annuali di pari importo, non riesce a sua volta a cedere il credito, né a utilizzarlo in compensazione. Nonostante al termine di ciascun esercizio il credito residuo venga definitivamente perso, lo stesso viene inciso dalle imposte sull’intero ammontare, anche sulla quota non utilizzata, sin dal 2021.

Un problema, fra l’altro, senza una via di uscita. Nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, proprio in virtù del principio di cassa, non esistono le sopravvenienze passive, né poste contabili ad esse equiparabili. Nonostante l’Agenzia delle Entrate sia consapevole che nell’ipotesi di corrispettivi oggetto di sconto in fattura non venga effettivamente eseguito alcun pagamento, tanto che esclude espressamente l’applicazione dell’eventuale ritenuta d’acconto di cui all’articolo 25, primo comma, primo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, al provento “figurativamente” incassato è sbarrata anche la strada della dichiarazione integrativa.

L’Agenzia delle Entrate va oltre. Nei casi in cui il professionista recuperi il contributo anticipato sotto forma di sconto acquisendo un credito d’imposta pari al 110 per cento dell’importo oggetto di sconto, quindi per un ammontare superiore allo stesso corrispettivo, secondo l’Amministrazione Finanziaria l’intero importo del credito ottenuto a fronte dello sconto, pari al 110 per cento dello stesso, costituisce un provento percepito nell’esercizio dell’attività professionale e, pertanto, assoggettato a tassazione ai sensi dell’articolo 54 del TUIR (lo stesso accade nel caso in cui il professionista richieda al cliente un compenso aggiuntivo in quanto non può utilizzare l’intero credito acquisito immediatamente ovvero perché sostiene un costo per la successiva cessione del predetto credito). Applicando le linee guida dell’Agenzia, questo significherà assoggettare a imposizione il 10 per cento eccedente tipico del Superbonus.