Con la prima bozza del DDL alla Legge di Bilancio 2023 si inizia a delineare la nuova pace fiscale messa a punto dall’esecutivo, il quale ha previsto molte misure a favore dei contribuenti per chiudere le liti con il Fisco.
Tra queste, affianco alla tanto attesa quarta edizione della rottamazione, viene riproposta la chiusura agevolata delle controversie tributarie, già prevista in passato dall’art. 6 del DL 119/2018, ma con delle modifiche di interesse.
Si tratta della c.d. chiusura delle liti pendenti che consente ai contribuenti di definire, con notevole vantaggio economico, le controversie tributarie pendenti in ogni grado e stato del giudizio, il cui ricorso in primo grado sia stato notificato entro la data di entrata in vigore della legge di bilancio 2023.
Sulla base della formulazione presente nella bozza del DDL, la definizione si applica a “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello pendente presso la Corte di cassazione e anche a seguito di rinvio, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia è stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”.
Da subito si nota che, rispetto alla precedente edizione, è stato eliminato qualsiasi riferimento alla natura impositiva dell’atto oggetto di definizione agevolata (nella precedente edizione si faceva riferimento ai soli atti “aventi ad oggetto natura impositiva”), ciò significa che sarà possibile definire le liti nelle quali è controparte l’Agenzia delle Entrate e aventi ad oggetto, non solo gli atti impositivi veri e propri, quali avvisi di accertamento, atti di recupero ecc, ma anche, ad esempio, le cartelle di pagamento i cui ruoli sono stati emessi dalla stessa Agenzia.
Dalla lettura della norma in commento emerge, inoltre, che la definizione sarà possibile se il ricorso è pendente alla data di entrata in vigore della norma stessa, ovvero il primo gennaio 2023. Ciò implica che oggi il contribuente, che ha in animo di impugnare un atto, ha tutto l’interesse a farlo entro fine anno e ciò al fine di garantirsi la possibilità di potere aderire alla definizione e chiudere la lite pagando esclusivamente le imposte e non anche le sanzioni e gli interessi.
A tale scopo appare opportuno chiarire cosa si intende per pendenza del giudizio, ovvero se è possibile considerare il ricorso pendente con la notifica a controparte dello stesso ovvero se è necessario che intervenga anche il deposito presso la segreteria della Corte di Giustizia Tributaria.
Infatti, ai fini dell’ammissibilità alla definizione, è fondamentale individuare con precisione quale sia il momento in cui si determina la litispendenza nel contenzioso tributario ovvero il momento in cui nasce il rapporto giuridico processuale, tenendo conto che le liti definibili sono quelle per le quali l’opposizione è da ritenere ratione temporis ancora pendente. Infatti, in materia tributaria l’aspetto relativo alla corretta individuazione del momento esatto in cui si realizza la litispendenza potrebbe risultare particolarmente insidioso, in quanto la fase introduttiva del processo, ai sensi degli artt. 20 e 22 del D.lgs. n. 546 del 1992, si articola in due momenti: il primo volto alla instaurazione del contraddittorio, incentrato sulla notificazione del ricorso alla controparte, e il secondo volto a investire il giudice della controversia, incentrato sulla successiva costituzione in giudizio del ricorrente.
A fugare qualsivoglia incertezza sul punto è la stessa norma, la quale prevede che “Il presente articolo si applica alle controversie in cui il ricorso in primo grado è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore della presente disposizione e per le quali alla data della presentazione della domanda di cui al comma 1 il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.”
Pertanto, ai fini della validità della definizione, si dovrà verificare se alla data del 1° gennaio 2023 il ricorso è già stato notificato a controparte. Qualora la risposta sia positiva la controversia è da ritenersi definibile e ciò quant’anche il contribuente a quella data non abbia ancora provveduto a depositare il ricorso presso la segreteria della Corte di Giustizia Tributaria adita.
Sul punto, la stessa Agenzia delle Entrate, con la Circolare 6/E del 2019, in relazione alla precedente definizione agevolata prevista dall’articolo 6 del DL 119/2018, al paragrafo 3, precisa che ai fini dell’individuazione della litispendenza richiesta dall’istituto in commento occorre fare riferimento alla data in cui il ricorso introduttivo, anche se ricadente nella disciplina del reclamo e della mediazione di cui all’articolo 17- bis del D.lgs. n. 546 del 1992, è stato notificato all’Ufficio, non essendo necessario che, entro il 24 ottobre 2018 (data rilevante per la precedente definizione), vi sia stata anche la costituzione in giudizio.
Inoltre, in base a quanto precisato dalla citata circolare 6/E, sono da ritenere ammesse alla definizione anche le liti instaurate mediante ricorsi affetti da vizi di inammissibilità e/o improcedibilità in quanto proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero perché privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti dall’articolo 18 del D.Lgs. n. 546 del 1992, purché entro la data di entrata in vigore della norma, 1° gennaio 2023, sia stato notificato il ricorso in primo grado e alla data di presentazione della domanda di definizione non sia intervenuta una pronuncia della Cassazione che ne abbia statuito l’inammissibilità.