Regime transitorio dividendi, contribuenti sub iudice

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

I chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria oggetto del Principio di diritto n. 3 del 2022, dedicato al regime transitorio dei dividendi derivanti da partecipazioni qualificate, non sono stati sufficienti per sollevare definitivamente i contribuenti dal rischio di future contestazioni. Sebbene l’Agenzia delle entrate, con riferimento al regime transitorio, abbia definitivamente chiarito come rilevi esclusivamente la data di assunzione della delibera di distribuzione, nel prossimo futuro il comportamento dei contribuenti sarà costantemente sotto la lente di ingrandimento dell’Amministrazione finanziaria.

Come noto, con decorrenza dal 1° gennaio 2018, l’articolo 1, comma 1003, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha uniformato il regime impositivo previsto per i dividenti percepiti dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’ attività di impresa, superando la precedente distinzione fra partecipazioni qualificate e partecipazioni non qualificate. A seguito della predetta riforma, le società e gli enti indicati nelle lettere a) e b) dell’articolo 73, comma 1, TUIR, devono oggi operare, con obbligo di rivalsa, una ritenuta del 26 per cento a titolo d’imposta sugli utili in qualunque forma corrisposti, indipendentemente dal periodo di formazione, anche nelle fattispecie di cui all’articolo 47, comma 7, del predetto testo unico relativi, ovvero nei casi di recesso, esclusione, riscatto e riduzione del capitale esuberante o di liquidazione (anche concorsuale).

Se nulla cambia per le partecipazioni non qualificate, per quelle qualificate si tratta di una vera e propria rivoluzione. La precedente impostazione, secondo la quale concorreva alla formazione del reddito imponibile complessivo solo una parte del dividendo percepito, ovvero il 40 per cento per gli utili maturati fino al periodo d’imposta 2007, il 49,72 per cento per quali maturati dal 2008 al 2016 e il 58,14 per cento per gli utili maturati nel 2017, è stata sostituita da un regime sostitutivo che prevede una ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento, da applicarsi sull’intero ammontare del dividendo percepito.

Nel farlo, tuttavia, il Legislatore ha previsto una clausola di salvaguardia. Per gli utili maturati fino al 31 dicembre 2017, le cui delibere di distribuzione dei dividendi siano state adottate dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continua ad applicarsi il precedente regime impositivo. Ne consegue, pertanto, che nel prossimo futuro la dichiarazione dei redditi non cambierà dovendo, all’occorrenza, accogliere ancora gli utili maturati fino al 31 dicembre 2017 e distribuiti in ragione di delibere adottate entro il 31 dicembre 2022.

Sul punto, sgombrando il campo delle incertezze, il citato Principio di diritto n. 3 del 2022 ha confermato l’impostazione letterale della disposizione normativa affermando che il citato regime transitorio si applica agli utili prodotti in esercizi anteriori a quello di prima applicazione del nuovo regime, a condizione che la relativa distribuzione sia stata validamente approvata con delibera assembleare adottata entro il 31 dicembre 2022, indipendentemente dal fatto che l’effettivo pagamento avvenga in data successiva. Un chiarimento dovuto, quasi scontato, considerando che il diritto alla percezione del dividendo sorge nel momento in cui l’assemblea dei soci delibera la distribuzione di utili, attimo dal quale il diritto del socio si trasforma in un diritto di credito nei confronti della società.

Non tutti i problemi sono stati risolti. Con lo stesso documento di prassi l’Amministrazione finanziaria alza il tiro è dichiara che resta impregiudicata la possibilità di contestare la natura simulata della delibera di distribuzione dei dividendi o la sua riqualificazione sulla base degli scopi concretamente perseguiti, se adottati in abuso della norma, come ad esempio nel caso di delibere accompagnate dalla successiva retrocessione da parte del socio, in tutto o in parte, della medesima provvista ovvero delibere che prevedono anomali termini di pagamento ultrannuali.

Molto più di una velata minaccia. La formula di chiusura utilizzata dall’Amministrazione finanziaria anticipa quale sarà, sul tema, la futura attività ispettiva, secondo un perimetro particolarmente stringente che tende a escludere termini di pagamento differiti rispetto all’adozione della delibera di distribuzione o successivi finanziamenti infruttiferi da parte del socio a favore della medesima società. In questo senso, pertanto, è opportuno completare le fasi di erogazione delle delibere adottate entro il 31 dicembre 2022, possibilmente entro la fine dell’anno, ed evitare retrocessioni a favore della società, salvo che vi sia una specifica motivazione, diversa dall’aspettativa del mero risparmio fiscale (ad esempio un’esigenza finanziaria sopravvenuta, meglio se giustificata da specifici investimenti o altre operazioni societarie).

Si aggiunga, infine, un ulteriore profilo di rischio. La delibera di distribuzione degli utili rientra fra gli atti disciplinati dall’articolo 4 della tariffa allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 e, in quanto tale, soggetta all’obbligo di registrazione in termine fisso. Pur non rappresentando un atto costitutivo del diritto alla percezione dei dividendi, nel caso in cui la delibera adottata entro il 31 dicembre 2022 sia stata registrata in ritardo, ovvero la registrazione sia stata del tutto omessa, il contribuente sarebbe perfino sprovvisto della data certa.
Senza di questa, e senza che l’erogazione sia avvenuta entro il 31 dicembre 2022, con ogni probabilità, l’Amministrazione finanziaria contesterà l’adozione del regime transitorio.