Per la remissione in bonis, qualunque essa sia, la forma è sostanza. Nonostante le enormi possibilità che possono scaturire dall’istituto in commento, sono numerosi i profili ai quali porre attenzione. Non si tratta di un salvacondotto. Se da un lato i comportamenti concludenti non possono essere ignorati, dall’altro è importante ricordare che, ai fini degli adempimenti previsti per godere dei suoi effetti, non vale il periodo di tolleranza di novanta giorni previsto dall’articolo 2, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, secondo cui “sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo”.
Forse la più importante e significativa semplificazione introdotta nell’ordinamento tributario, la remissione in bonis rappresenta l’ultima chance per i benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali. Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla Legge 26 aprile 2012, n. 44, nei casi descritti, al contribuente che abbia omesso una comunicazione preventiva ovvero altro adempimento di natura formale funzionale al beneficio, è consentito porvi rimedio provvedendo alla comunicazione ovvero all’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile. L’effetto, tuttavia, è condizionato all’assenza di contestazioni o l’inizio di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, alla presenza di tutti i requisiti sostanziali richiesti dalla norma di riferimento e al versamento della sanzione, pari a 250 euro, stabilita dall’articolo 11, comma 1, del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (importo non compensabile né ravvedibile).
La remissione in bonis, prima di essere estesa alla Comunicazione di cui all’articolo 121 del Decreto Legge n. 34 del 2020 per l’esercizio delle opzioni di sconto in fattura e cessione del credito, ha trovato significative applicazioni in materia di trasparenza fiscale, consolidato fiscale, benefici per gli enti di tipo associativo e, soprattutto, all’esercizio dell’opzione per la cedolare secca di cui all’articolo 3 del Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, eventualmente omessa in fase di registrazione del contratto o di rinnovo delle annualità successive. Con la Circolare n. 47/E del 2012 l’Amministrazione Finanziaria spalancò le porte della remissione in bonis, ma nel solo caso in cui il tardivo assolvimento dell’obbligo di presentazione del modello 69 non fosse configurabile come mero ripensamento, anche in termini di comportamento concludente. Come accade, ad esempio, nel caso di versamento dell’imposta di registro. Come recentemente ribadito dall’Amministrazione Finanziaria nella risposta n. 82 del 2019, il pagamento di detta imposta configura un comportamento non coerente con la volontà di optare per il regime della cedolare secca che, come noto, non presuppone il versamento del richiamato tributo.
Sotto il profilo temporale, invece, il contribuente deve effettuare la comunicazione ovvero eseguire l’adempimento richiesto “entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile”, da intendersi come la prima dichiarazione dei redditi il cui termine di presentazione scade successivamente al termine previsto per effettuare la comunicazione ovvero eseguire l’adempimento inizialmente omesso. Questo significa che per tutti gli adempimenti formali omessi successivamente al 1° dicembre 2021, il termine ultimo per procedere alla remissione in bonis, inderogabile, è il 30 novembre 2022, scadenza per la trasmissione della dichiarazione dei redditi (termine valevole anche per coloro che abbiano presentato il modello 730). In particolare non assume alcuna rilevanza il periodo di tolleranza che consente, entro novanta giorni dai termini ordinari di presentazione, l’invio delle cosiddette dichiarazioni tardive (Circolare 38/E del 2012).
Ora, traslando i principi appena espressi al caso della cessione del credito, risulta del tutto evidente come la remissione in bonis non possa costituire il rimedio al ripensamento da parte del contribuente che, nel frattempo, abbia detratto la prima quota in dichiarazione dei redditi e questa sia stata già trasmessa. In questo caso, anche inviando una dichiarazione correttiva nei termini, la remissione in bonis costituirebbe a tutti gli effetti un ripensamento da parte del contribuente e, in quanto tale, sarebbe di conseguenza contestata dall’Amministrazione Finanziaria.
Di pari, sotto l’aspetto tributario, è necessario ribadire come, per accedere all’istituto in commento, la comunicazione relativa alle spese 2021 debba essere trasmessa inderogabilmente entro il 30 novembre 2022, anche per i soggetti titolari di Partita Iva, soggetti Ires e per coloro i quali l’esercizio sociale non coincida con l’anno solare. Anche un solo giorno di ritardo determinerebbe l’inefficacia della procedura.