Resta incolmabile la frattura esistente fra la normativa di settore e l’interpretazione della giurisprudenza in tema di gestione previdenziale dei soci lavoratori delle società a responsabilità limitata. Nonostante le forti contraddizioni di fondo, e nei limiti di cui si dirà, la posizione dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale viene elevata a principio generale.
È necessaria una premessa. Con la Circolare n. 102 del 12 giugno 2003 l’Istituto, per la prima volta dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 354 del 2001, affermò come, fermo restando la demenza del contributo minimale, la normativa previdenziale preveda testualmente che “l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della Legge 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”. Benché dall’esegesi della disposizione risulterebbero rilevanti due condizioni, ovvero la presenza di redditi d’impresa e la necessità che questi siano concorsi alla determinazione dell’imposta sul reddito in ragione dei criteri di imputazione temporale applicabili, secondo l’ente previdenziale per il socio lavoratore di Srl la base imponibile è costituita dalla parte del reddito d’impresa dichiarato dalla S.r.l. ai fini fiscali e attribuita, solo figurativamente, al socio in ragione della quota di partecipazione agli utili e, quindi, prescindendo dalla destinazione che l’assemblea ha riservato a detti utili, nonché all’effettiva distribuzione.
Eppure la citata sentenza della Corte Costituzionale, in linea con la definizione fiscale, aveva affermato come i contributi previdenziali fossero dovuti, non solo sul reddito dell’attività che ha dato luogo all’iscrizione, ma anche su tutti gli altri eventuali redditi di impresa conseguiti dal contribuente nel periodo di riferimento quali, secondo il corretto perimetro, i redditi di partecipazione riportati nel quadro RH del modello UNICO-Persone fisiche. In questo senso, infatti, sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali, in forma individuale o collettiva (Sas, Snc e Srl in trasparenza fiscale, ovvero quelli che confluiscono nel predetto quadro RH), mentre sono redditi di capitale quelli derivanti dall’impiego di un capitale (come nel caso della percezione di dividendi).
Contestualizzando al caso di specie, e applicando le regole del Testo Unico in materia, salva l’opzione per la trasparenza fiscale di cui all’articolo 116 del TUIR, sono redditi d’impresa quelli prodotti dalla società a responsabilità limitata, sono invece di capitale quelli, eventuali, percepiti dal socio in caso di distribuzione degli utili. Infine sono redditi da lavoro, dipendente o assimilato, quelli ritraibili dall’eventuale retribuzione percepita dal socio in ragione dell’attività prestata a favore della società. Si colga, infatti, come i compensi percepiti dai soci lavoratori per l’attività prestata a favore di società di capitali è riconducibile, ai fini fiscali, ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e, in quanto tali, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (Risoluzione n. 81/E del 2002).
La Corte di Cassazione, con una nuova pronuncia sul tema (Cass. n. 25431 del 2022), alimenta l’orientamento consolidatosi nel corso degli ultimi anni (Cass. n. 21540 del 2019, Cass. n. 23790 del 2019, Cass. n. 24097 del 2019 e Cass. n. 26958 del 2019) secondo il quale, ai fini della contribuzione eccedente il minimale, per i soci lavoratori di società a responsabilità limitata, iscritti in quanto tali alle Gestioni speciali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, la base imponibile previdenziale è costituita dalla parte del reddito d’impresa dichiarato dalla S.r.l. ai fini fiscali e attribuita al socio in ragione della quota di partecipazione agli utili. In questo senso, limitandone l’ambito di applicazione, per la partecipazione alle società a responsabilità limitata concorreranno i soli utili figurativi di quelle società nelle quali i lavoratori autonomi abbiano svolto l’attività lavorativa.
Qui la frattura instabile. Ognuna delle citate pronunce perviene alla soluzione insostenibile secondo la quale costituiscono redditi di capitale i soli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali senza prestazione di attività lavorativa, dovendosi dedurre, di conseguenza, come i redditi derivanti dalla partecipazione a società di capitali nelle quali viene altresì svolta l’attività lavorativa costituiscano redditi d’impresa, addirittura indipendentemente dalla percezione, e per questo rilevanti ai fini della base imponibile previdenziale. Non può essere così. Giammai i redditi derivanti dalla partecipazione alle società a responsabilità limitata assumono la natura di reddito d’impresa, nemmeno quando vengono distribuiti sotto forma di utili o, addirittura, a riduzione del capitale sociale o in sede di recesso e liquidazione. Questi, in ogni loro sfaccettatura, sono redditi di capitale.
La questione della copertura previdenziale del socio lavoratore di SRL, pertanto, deve essere affrontata diversamente. Sulla base dell’attuale contesto normativo, fermo restando l’obbligo di iscrizione alla gestione previdenziale di riferimento e il versamento dei conseguenti contributi previdenziali dovuti sul reddito minimale, la copertura previdenziale propria per l’attività prestata dal socio a favore della società è quella riconducibile alla gestione separata nei casi di erogazione dei compensi. Per tutte le argomentazioni espresse, fin quando alcuna utilità venga effettivamente erogata a favore del socio per l’attività lavorativa prestata, nulla potrà concorrere alla formazione della base imponibile previdenziale. Diversamente, infatti, c’è il rischio concreto di riproporre, in salsa previdenziale, la presunzione applicata in ambito fiscale alle società a ristretta base societaria.